Diffamazioni su Facebook: quando si possono denunciare? Comportano una multa?

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I social network  si usano sempre più spesso, non solo per socializzare ma anche per avviare importanti contatti di lavoro. Facebook  è tra i più conosciuti ma, accanto ai lati positivi della socializzazione in rete, crescono i reati di diffamazione.

La diffamazione via Facebook

La legislazione italiana ha dovuto aggiornarsi negli ultimi anni, perché i social network sono una conquista recente nel panorama digitale. Milioni di utenti interagiscono e comunicano video, pensieri e immagini, dietro ai quali si può nascondere l’intento di diffamare avversari politici, concorrenti in affari e persone non gradite.

Diffondere testi o immagini offensive, trasforma la bacheca dell’utente in una sorta di cassa di risonanza digitale. In pratica, tutti quelli che hanno accesso a quel profilo vedono questi contenuti.

La risposta della legge italiana

L’ordinamento stabilisce che chi usa Facebook in modo inappropriato può incappare nel reato di diffamazione, previsto dall’articolo 595 del Codice Penale, perché la natura stessa di Facebook ne amplifica la portata.

La diffamazioni su Facebook sono un reato perseguibile solo facendo denuncia e il fatto che i contenuti raggiungono un numero imprecisato di persone, fa scattare la diffamazione aggravata, secondo il comma 3 dell’articolo 595. Il reato avviene anche se tra le persone raggiunte dal messaggio diffamatorio non compare il diretto interessato.

La difesa degli imputati di diffamazione

In vari casi, il diffamato ha vinto la causa, nonostante il querelato si appellasse alla libertà d’espressione o cercasse di dimostrare la mancanza di prove sicure delle diffamazioni su Facebook. Le sentenze e pronunciamenti della Cassazione si rifanno invece al comma 3 articolo 595, riguardo il danno provocato dalla condivisione potenzialmente infinita dei social.

Alcuni sostengono che non si può provare la responsabilità di un preciso utente, se la bacheca virtuale la usano in molti. Tuttavia la Cassazione ritiene che sia possibile stabilire la diffamazione via Facebook anche su base indiziaria.

La ricerca degli indizi

In pratica, non è necessario stabilire con assoluta certezza che il post diffamatorio sia per forza arrivato dall’indirizzo IP della persona accusata di diffamazione. In questi casi, si valuta infatti il movente che spinge a diffamare, l’argomento trattato e se tra le parti in causa corre o meno buon sangue. Conta inoltre la divulgazione di fatti privati che il presunto colpevole conosce meglio di altri, perché frequenta il diffamato.

Si controlla inoltre il nickname del responsabile e si fa attenzione a un’aggravante: la mancanza di denuncia per furto d’identità o di presa di distanze da queste offese, qualora l’imputato dichiarasse di essere innocente, perché i post diffamatori sono partiti dalla bacheca a sua insaputa.

La condanna del tribunale

In caso di condanna, non si tratta di pagare una semplice multa, ma di sostenere tutte le spese processuali e di risarcire la persona diffamata con un esborso di soldi tutt’altro che trascurabile.

Il tribunale di Pavia, ad esempio, ha condannato al pagamento di 5.000 euro l’autore di un post su Facebook, che conteneva insulti e un fotomontaggio diffamatorio, ai danni di un professionista affermato. Quindi, prima di postare sui social qualunque cosa passi per la testa, attenti alle conseguenze.