Le attività di assistenza legale possono essere svolte anche al di fuori del processo, senza che venga a verificarsi l’intervento diretto del giudice. In tal caso si parla di procedura stragiudiziale ed è possibile conseguire un accordo in grado non solo di rivelarsi più rapido, ma anche di soddisfare le controparti. Il tutto senza andare ad intasare ulteriormente le aule di tribunale, con iter processuali che possono dilatarsi anche in maniera significativa.
In altre occasioni, invece, la controversia sfocerà in un vero e proprio giudizio, il quale avverrà solo in un secondo momento. L’attività prestata, in questo caso, rappresenta quindi una anticipazione, la quale deve comunque essere liquidata.
Questo genere di attività, però, comporta un problema aggiuntivo, quello rappresentato dalla parcella e dalla sua quantificazione. Andiamo a vedere perché.
La parcella stragiudiziale: il problema è nella dimostrazione
Per quanto riguarda la parcella stragiudiziale, il vero problema per l’avvocato che ha prestato il suo operato in una assistenza legale avvenuta al di fuori di un’aula di tribunale è rappresentato dalla dimostrazione del lavoro prestato. Soprattutto nel caso in cui non ci sia stato un accordo preventivo, il professionista deve essere in grado di provare la prestazione svolta. Per farlo, può ricorrere in particolare a due modi:
- l’esibizione di testimoni che abbiano assistito direttamente al conferimento dell’incarico;
- quella di corrispondenza e documenti probanti.
Il secondo caso è ad esempio tipico della richiesta di un parere ad un avvocato tramite posta elettronica o un sistema di messaggistica.
Il diritto al compenso, viene meno soltanto nel caso in cui le controparti avevano concordato preventivamente per la gratuità della prestazione. In questo caso, però, l’avvocato ha diritto al rimborso delle spese effettivamente sostenute durante il suo incarico.
Parcella stragiudiziale: a quanto può ammontare?
A quanto può ammontare la parcella stragiudiziale? Il totale dipende proprio dalla prestazione svolta. Solitamente gli avvocati chiedono tra i cento e i trecento euro per una consulenza verbale e tra i duecento e i mille per un parere scritto. Al totale occorre poi aggiungere l’Iva (22%) e le spese di cassa forense (4%).
La spesa sale poi nel caso di una conciliazione, in cui la parcella stragiudiziale dipende dal valore della lite. In questo caso, nella fase di attivazione il compenso va da un minimo di 60 euro ove la conciliazione arrivi ad un massimo di 1.100, ad un massimo di 510 per liti il cui valore si attesti tra i 26mila e i 52mila euro.
Mentre nella fase di conciliazione gli estremi vanno a situarsi tra 180 e 1.530 euro.
L’orientamento della Corte di Cassazione
Infine, si ricorda l’orientamento della Corte di Cassazione, espressa dalla seconda sezione civile con la sentenza n. 13106 del 24/06/2015. All’interno di essa si afferma che un avvocato può chiedere di essere compensato per le attività stragiudiziali effettuate soltanto nel caso in cui sia in grado di dimostrare l’avvenuto conferimento dell’incarico.
In pratica, la sentenza emessa afferma l’insufficienza della fattura, della bozza di un contratto o di un atto di citazione privi di sottoscrizione da parte del cliente. Occorre invece il mandato in grado di dimostrare l’avvenuto conferimento dell’incarico, sotto forma di un documento tale da rappresentare un riconoscimento dell’attività svolta per conto del cliente.